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Quali sono le fasi principali del processo creativo di un progetto? 

Bruno Vaerini

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Disegno di studio per una scala, Erbusco, 2011

«A prescindere dal tipo di progetto credo che il valore di un'opera dipenda dall'interiorità del suo creatore. Non si tratta di un segno, di un gesto, ma di una ricerca. La bellezza genera in me una volontà di conquista. Modellare i materiali, plasmare la materia grezza. Quando la forma nella sua fisicità prende corpo svela la magia dell'uomo: sinuosità, eleganza e movimento sono le risposte che cerco nei miei lavori. Ricercare la bellezza nell'architettura e nelle arti è la missione di una vita. Il sublime trascende la materia e la forma diventa spirito. Il bello classico viene dalla completezza formale e dall'armonia tra le parti, il bello che ricerco nei miei lavori è lo scardinamento degli equilibri, lo stupore, lo sbalordimento».

Pietro Gellona

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«Ogni nuovo progetto è una grande opportunità che affronto con grande entusiasmo e passione.
In una prima 
fase, sono facilmente riconoscibili due binari che viaggiano in parallelo: le esigenze tecniche - vincoli imposti dalle istituzioni ed esigenze del cliente - e la necessità di potersi esprimere a livello progettuale - partecipare al

dibattito contemporaneo, sperimentare con materiali soluzioni tecnico-progettuali - .

Si tratta di una costante ricerca di equilibrio fra l'ambizione di realizzare una proposta innovativa e le inevitabili restrizioni presenti.  A seconda della scala di progetto, può essere predominate un approccio formale-compositivo o legato alla circolazione- distribuzione. In un costante processo di messa a fuoco dal “grande” al “piccolo” e di verifica del rispetto dei vincoli si delineano le prime idee fondative, le direttive sulle quali si lavora pazientemente, plasmandole.

Nella maggior parte dei casi, dispongo di suggestioni o riferimenti in forma fotografica che vanno a corredare la prima proposta offerta al cliente, definendo gli scenari possibili e compatibili con l'idea progettuale.

Una volta determinata la linea di azione, si scende nel dettaglio. Restituzioni tridimensionali e fotomontaggi si rivelano estremamente efficaci per tramettere gli obiettivi da raggiungere e sono molto apprezzati dai clienti. Ormai consapevole che tale fase è breve rispetto al tempo che si dedicherà per completare l'opera, cerco di godere dell'intero processo creativo e delle sue costanti contraddizioni».

SET Architects

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Pablo Picasso, Le Taureau, 1946

«Consideriamo un progetto sempre un’opportunità. È una preziosa occasione per sviluppare una delle attività fondamentali dello studio che è quello della ricerca. L’approccio al progetto è sempre critico e punta all’approfondimento della filosofia che guida il nostro modo di intendere l’architettura. Indaghiamo risposte semplici alle domande complesse derivanti dai temi del contemporaneo. A partire da questi principi si individua un concept, un’idea concettuale forte che esprima le intenzioni progettuali e che determini in maniera chiara la direzione a cui si sta mirando. Si può trattare di un testo o di un’immagine, ma che ha sempre la volontà di mostrare quale è il campo di azione in cui vogliamo operare. Il processo porta poi all’individuazione di un programma funzionale, generalmente corredato da diagrammi, che espliciti quali siano le regole e i rapporti che governano le differenti parti dell’intervento. 

La parte conclusiva è caratterizzata da un da una sintesi generale che metta in linea tutte gli aspetti trattati fino a quel momento. Si affrontano più nel dettaglio tutte le considerazioni raccolte e si sceglie di comunicare il progetto attraverso la rappresentazione grafica più convincente».

Baserga Mozzetti

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Oscar Niemeyer, Università di Brasilia, 1962

«Tutte».

Atelier Remoto

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Pennabilli, 2016

«Fine inverno, dopo aver recuperato una qualche macchina sgangherata, che non sapevamo sarebbe diventata una sorta di ufficio mobile, una vera e propria macchina dell’abitare remoto, eccoci in direzione del Montefeltro. Il viaggio è lento, sempre, un po’ per tradizione, un po’ per condivisa attitudine. Ci fermiamo a visitare qualche chiesina, si beve un caffé, uno normale e uno lungo, si chiacchiera con chi ci è seduto accanto e si riparte. Parcheggiata la macchina-ufficio distante dalla meta, camminiamo, su su, verso una delle colline più stravaganti di quell’area dell’Appennino.

Sopra sotto, destra sinistra, di qua e di là, aggiriamo il roccione, la cui cima è il sito di progetto. Entriamo di soppiatto nel giardino terrazzato di Tonino Guerra, troviamo su un dondolo un grande reggiseno al sapor di Amarcord e leggiamo i mantra scolpiti sulle campane tibetane. Ci muoviamo, quasi danzando  attraverso vecchie case, scalette, feritoie, crepacci e mura sulla vallata. Guardiamo Billi e pensiamo ai funamboli, galleggiare tra questi monti naviganti, lassù per aria. 

La giornata non ci sorride, l’Appennino è bigio e la primavera si vede solo da molto vicino, sull’erba umida intorno al castello di Billi, dove ci siamo sdraiate a guardare Penna.

La pancia dell’architetto brontola e alle prime gocce di pioggia ci accoglie un oste sorridente all’Osteria del Fico, sulla piazza principale del paese.

In questa terra di confine tra Romagna, Marche e Toscana, le piadine sanno di bosco e mare, monasteri e castellotti. Un quartino di rosso e allegramente si ripensa ai monti intorno, ai percorsi dalla piazza fino alla rocca, alle stradine strette del paese, ai colori della roccia e della vegetazione.

Il territorio circostante è costellato di torrette cilindriche, d’avvistamento un tempo, ora granai o depositi per i campi. Arriva il caffè. Immaginiamo una camera oscura puntata verso orizzonte che brilli di notte alla luce dei fuochi dei saltimbanchi e della luna e di giorno assuma le forme di quelle torrette, argentata, brillante. Si fa buio e ad Urbino ci aspetta una mostra dell’incisore Ferroni, ma soprattutto un crescione sfogliato e una bottiglia di lacrima marchigiana, per brindare ai giocolieri e alla fortuna. 

Lasciarsi affascinare per i più svariati motivi dal programma, da una commissione, da un luogo, decidersi sul quando e partire, rigorosamente insieme, per conoscere il sito di lavoro. Il contesto è il percorso che ci conduce a un luogo: le persone incontrate, i profumi della vegetazione, il riflesso dell’acqua, i suoni della strada... Spesso in loco, osservando, ragionando e un po’ sognando, abbiamo avuto le migliori intuizioni».

Marko Radonjić
 

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ME, Plav, 2017

«Dopo qualche anno di esperienza il processo progettuale si è sviluppato attraverso diverse fasi sovrapposte una con l'altra. La creazione di una ''moodboard'' e la ricerca dei riferimenti, le decisioni riguardo struttura e materiali e lo sviluppo dei dettagli. Qualche volta è l’opposto».

José Martins

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Zebros, Felgueiras, 2019 -

 

«Nel mio personale processo creativo non ci sono fasi, orari da rispettare o luoghi in cui stare. I progetti sono permanentemente nella mia mente e io sono costantemente in viaggio con loro. Si potrebbe dire che ogni momento possa essere quello giusto per cogliere qualcosa in grado di migliorare l'opera. Ovviamente esistono momenti di lavoro in ufficio programmati, ma troviamo sempre tempo per dare forma o dettagliare un qualsiasi aspetto che riteniamo carente».

Iván Bravo

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Inventario / modelli di studio per Casa El Gauchal

 

«Il primo passo è rappresentato da un’osservazione estensiva di tutti i contenuti che possono condurre alla soluzione di un progetto: informazioni, dati, texture, materiali, sensazioni... un insieme di stimoli che poi riorganizzo sotto forma di linee guida, capaci di suggerire come plasmare la forma del progetto. È estremamente importante che questi cardini circoscrivano i risultati possibili, fissando i limiti per affrontare la fase progettuale successiva, un’esplorazione completamente libera ed intuitiva di forme e organizzazioni, che si completerà unicamente quando verrà raggiunta un’irrazionale sensazione di completezza. Una volta conquistata questa condizione inizierà la progettazione esecutiva, dove ogni idea verrà approfondita sotto il profilo tecnico, costruttivo ed economico».

Howland Evans
 

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Schizzi iniziali


 

«Il progetto è sostenuto, sviluppato e approfondito grazie a quello che può essere definito un processo creativo durante l’ideazione così come durante la realizzazione. Ovviamente questo processo assume differenti forme e la risposta creativa varia a seconda che il problema derivi dalle autorizzazioni che è necessario ottenere dalle autorità pianificatorie, oppure dalla risoluzione di un dettaglio costruttivo durante la fase costruttiva o ancora che riguardi i rapporti con i clienti o con l’impresa esecutrice. Forse non è corretto parlare di processo, ma piuttosto a una serie di processi, alcuni dei quali avvengono simultaneamente, mentre altri in sequenza l’uno rispetto l’altro. Probabilmente questa è una definizione troppo ampia ma crediamo che all’architetto sia richiesto di assumere un atteggiamento creativo di fronte ad una molteplicità di problemi che possono emergere in ogni progetto. Ad ogni modo nelle prime fasi lavoriamo con modelli e schizzi, provando ad esplorare idee sparse a proposito della configurazione, dell’aspetto e delle sensazioni che può suscitare uno spazio. Durante il dialogo con il cliente, queste idee sparse lentamente vengono fissate in qualcosa di più definito, che viene poi modellato e disegnato in modo più preciso e dettagliato. Non crediamo sia necessario disegnare e definire ogni aspetto, anche perché banalmente non ci sono abbastanza tempo e soldi per farlo, quindi il cantiere diviene un vero e proprio luogo di scoperta dove avvengono molti aggiustamenti e modifiche che richiedono un pensiero veloce e agile che risponda in modo immediato ai problemi, trovando soluzioni che preservino le qualità più importanti del progetto. In questa fase produciamo perlopiù schizzi, che possono essere fatti a penna su un foglio in studio oppure a matita su di un pannello di cartongesso direttamente in cantiere. Gli schizzi fatti in cantiere permettono di pensare durante l’azione del costruire e favoriscono la collaborazione con le persone che realizzano quello che noi progettiamo. In questo modo impariamo dagli artigiani e otteniamo soluzioni intelligenti e pratiche».

Whale!
 

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Anthony Braxton, Score for composition 366g

 

«Abbiamo sempre riscontrato difficoltà nel tratteggiare con precisione i distinti passaggi che accomunano i nostri processi creativi.

La realtà si è rivelata piuttosto contraddittoria, non lineare, continuamente diversa e innominabile.

Riconosciamo però la presenza di due costanti, due impulsi che accompagnano il progetto in ogni sua fase in cerca di una sintesi.

In primo luogo la volontà della committenza, la quale attraverso la dichiarazione di un obiettivo funzionale inaugura i primi segni sul foglio bianco, quindi la resistenza della disciplina architettonica, intesa come il sistema di relazioni spaziali e volumetriche che ambisce a trasformare la ruvida grammatica della costruzione in linguaggio».

a-works
 

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Landscape Circle

 
 

«Trovo difficile essere definire una prassi sempre uguale a sé stessa, in quanto la pratica progettuale richiede il confronto con un ampio ventaglio di occasioni progettuali, tra cui nuove costruzioni, trasformazioni dell’esistente, strutture, installazioni artistiche, allestimenti, mostre e pubblicazioni. Come si può immaginare il processo per ognuno di questi lavori è differente. Anche due progetti della stessa tipologia potrebbero nascere da diversi processi, per esempio per una questione di scala, contesto, cliente o collaboratori. A volte siamo noi stessi a concepire, avviare, finanziare, progettare e costruire un nuovo lavoro. Altre volte riceviamo una commessa e la sviluppiamo, per così dire, più tradizionalmente. Capita anche di fare parte solamente della prima fase di formulazione del progetto e dei suoi parametri, ad esempio sulla scelta di un sito, sulla definizione di un budget o sull’organizzazione di un gruppo di lavoro, piuttosto che sulla definizione dei modi e dei mezzi per realizzarlo, così come la documentazione e il monitoraggio dell’opera una volta ultimata.

Questo significa che ogni progetto riguarda più la pianificazione del processo in sé piuttosto che la progettazione dell’opera, e all’interno di questo percorso ciò che posso realmente fare è dedicarmi interamente fino a che, ad un certo punto, indipendentemente dal ruolo o dalla tipologia di progetto, nasca una sorta di convergenza. A partire da tutti i ragionamenti, dalle letture, dalle esperienze vissute, dalle conversazioni avute, dalle situazioni incontrate, emerge lentamente la tendenza a rimanere legati ad alcuni temi che germogliando, cominciano a a dare forma ad un’idea primordiale, un’immagine che funge da bussola durante il processo, indicando la via da seguire. Da questo momento l’intero processo ha trovato la propria strada».

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